Piazza XX settembre si trasforma nel cimitero delle attività commerciali: il grido di dolore di Confartigianato

8' di lettura 01/02/2021 - Un migliaio di cerini, come un grande cimitero nel cuore della città-simbolo della vitalità produttiva e lavorativa di tutta la regione. Un pugno nello stomaco vedere piazza XX settembre vestita a lutto, sotto una pioggia battente, per la manifestazione voluta da Confartigianato per invocare la possibilità di tornare a lavorare.

Ristoratori, baristi, commercianti, negozianti, palestre, sartorie, tutti insieme nel salotto buono della città per gridare il loro dolore e chiedere aiuto per non vedere quelle 985 lanternine rosse (a rappresentare le 985 attività perse dalle Marche nel 2020 rispetto all’anno precedente) moltiplicarsi nei prossimi mesi.

«Nel 2020, a fronte di 6.749 iscrizioni, abbiamo registrato 7.734 realtà che hanno chiuso i battenti – fanno sapere i rappresentanti di Confartigianato, guidati dal presidente regionale Giuseppe Mazzarella – i nostri territori hanno così salutato il 2021 senza altre 985 storie di impegno e passione, sogni e aspettative. Tutto svanito nell’annus horribilis del covid-19. Il tessuto produttivo è in forte difficoltà, quasi tutti i settori sono al collasso. Il pil marchigiano è sceso del 9,2%, le esportazioni sono crollate del 15,4%. Il momento buio sembra non lasciare spiragli di futuro a chi vuole aprire la propria attività. Rispetto all’anno precedente, nel 2020 le nuove iscrizioni hanno segnato un meno 2.120 unità».

Entrando nello specifico dei dati provinciali: Ancona registra un saldo di -378 (1.792 iscrizioni, 2.170 cessazioni); Pesaro-Urbino di -281 (1.486 iscrizioni e 1.767 cessazioni); Macerata di -237 (1.512 iscrizioni e 1.749 cessazioni); Fermo di -73 (921 iscrizioni e 994 cessazioni); Ascoli Piceno di -16 (1.038 iscrizioni e 1.054 cessazioni).

«Le chiusure – ha fatto eco il presidente provinciale Renzo Leonori – hanno stravolto l’esistenza dei lavoratori, e se questi sacrifici non si interromperanno quanto prima, le conseguenze saranno immani. La salute viene prima di tutto, ma al contempo dobbiamo preservare anche il principale patrimonio economico, che è la nostra imprenditorialità. Durante le festività le nostre saracinesche sono state tenute abbassate, ma il numero di infezioni non è certo diminuito. Anzi. Ci chiediamo allora quali siano le evidenze scientifiche che continuano ad essere portate avanti per la chiusura o apertura di una data attività. Solo comprendendo le ragioni si potranno attivare concrete azioni di contrasto. Serve un vero cambio di passo, che mantenga vivo il mondo produttivo. Non c’è alternativa, non c’è futuro. Vi chiediamo di interrompere questo alternarsi schizofrenico di chiusure-aperture, lasciando aperte tutte le attività e ripristinando al più presto quelle ancor chiuse. Gli imprenditori rispettano da sempre tutti i dovuti protocolli igienico-sanitari, nel proprio interesse e nell’interesse di ogni cliente. Se necessario, sono anche bendisposti a misure ancora più restrittive. Ma lasciateli lavorare. Intensificate i controlli e sanzionate chi non rispetta le regole, basta sparare sul mucchio».

Sul piccolo palco installato proprio di fronte al cancello dei giardini, che già nei mesi passati, a inizio seconda ondata, aveva ospitato la mobilitazione delle attività cittadine, si sono alternati i rappresentanti delle varie sezioni dell’associazione di categoria, tutte colpite a vario titolo dalle conseguenze delle chiusure imposte dai dpcm anticovid.

«Non possiamo più accettare questi continui cambi di colori – sottolinea Piero De Santis, rappresentante dei ristoratori e titolare del ristorante Il Gambero di Porto Sant’Elpidio – abbiamo necessità di lavorare anche a cena, sennò la piazza diventerà presto piena di lumini. Siamo disposti a farlo rispettando tutte le normative, ma non ne possiamo più. Ci hanno vietato anche le piccole cerimonie, feste di laurea, compleanni, niente di tutto questo. Una ragazza incinta ha spostato tre volte il matrimonio. Ho avuto due amici morti per il covid-19, ma se rispettiamo i protocolli e si fanno i controlli si può fare».

Problematiche analoghe quelle dei bar. «In Italia ci sono 150 mila bar, di questi il 30% è a rischio chiusura – rilancia Francesco Cacopardo, rappresentante dei pubblici esercizi e titolare di Spritz&Chips a Macerata – se continuiamo così per la nostra categoria sarà un disastro totale. Per molti locali chiudere alle 18 significa non guadagnare perché fino a quell’ora di solito si coprono le spese, con aperitivi e dopo cena si fa il guadagno. Per alcuni locali addirittura significa non aprire per niente. È ovvio che ci siano da rispettare limiti e distanziamenti. Ma fino ad ottobre lo avevamo fatto e non c’è alcuna evidenza scientifica che i contagi siano venuti in bar e ristoranti. La curva non è cambiata nonostante le nostre chiusure prolungate».

I problemi però non solo sono degli esercizi di somministrazione di cibi e bevande, ma anche delle attività produttive, a partire dal settore principe della manifattura del Fermano-Maceratese, ovvero la calzatura. «La situazione è drammatica, il comparto ha avuto un calo del 62% – ribadisce Orietta Mancini, rappresentante del settore moda e buyer che lavora con l’estero ma originaria di Porto Sant’Elpidio – abbiamo bisogno di essere competitivi sui mercati del resto del mondo portando la qualità che abbiamo, ma serve formazione specifica per un mondo stravolto dal digitale».

Con i matrimoni e le cerimonie ridotti al lumicino, anche per sartorie e imprese del settore wedding la crisi è nerissima. «Dietro ogni attività c’è una famiglia, chiediamo che non ci si dimentichi di noi – afferma Francesca Bracalenti, rappresentante regionale delle sartorie e titolare dell’atelier Dolcevita a Morrovalle – qui c’è un settore che ha tradizione di anni e anni, come facciamo a dire ai nostri figli di portare avanti la nostra esperienza?».

«Almeno alcuni sono riusciti a prendere qualche migliaio di euro di ristori, noi agenti di commercio neanche quelli – dice Decio Paciaroni – qui a Civitanova ho tantissimi clienti che non vedo da ottobre, in alcune zone dell’entroterra anche da prima. E poi critico il modo: si fanno decreti il venerdì per la domenica, quando già molti ristoratori hanno acquistato merci che così vanno sprecate. Ma come si fa?». Stessa musica la suonano gli ambulanti. «I mercati purtroppo sono poco frequentati al momento, c’è poco interesse agli acquisti e non abbiamo avuto alcun aiuto – fa eco Giacomo Delsere a nome della sua categoria – per non parlare della fieristica, che è ferma del tutto. Serve un aiuto dello Stato per ripartire, altrimenti moriamo. Speriamo almeno ci esonerino dalla Tosap, sarebbe almeno un piccolo sgravio».

Continua a piangere anche lo sport, a partire da palestre e piscine, ancora ferme al palo. «Il nostro settore quest’anno conta 175 giorni di chiusura, se si arriverà al 5 marzo diventano 206, ovvero sette mesi e mezzo – rimarca Elsid Lumi, titolare della palestra Lume di Macerata – Siamo stati aperti quattro mesi e mezzo ma nel periodo estivo, di presenze basse già in tempi normali, figuriamoci col covid-19, abbiamo visto un calo del 40%. Come se non bastasse ci hanno fatto spendere del denaro per adeguarci alle linee guida per poter rimanere aperti. E invece dopo poche settimane tutto chiuso perché, ci è stato detto, non siamo essenziali. Una persona in palestra occupa 5 metri quadrati, in piscina addirittura 7. Più distanziamento di così? E che dire dei ristori: neanche le spese ci abbiamo coperto. Fateci lavorare, non servono ristori, serve lavorare».

Altro caso spinoso quello degli autotrasporti. «Avevamo prenotazioni per viaggi scolastici e altro ma è crollato tutto, non incassiamo nulla da un anno – evidenzia Filippo Pallotta della autolinee Pallotta di Mogliano – c’era la possibilità di dare un sostegno alle corse di linea, ci eravamo messi a disposizione ma la Regione ha preferito assegnare questi servizi alle aziende che già si occupano del trasporto pubblico locale. I grandi tour operator fanno i contratti a ottobre per la stagione successiva, per cui per noi anche il 2021 ormai è andato. Il nostro codice Ateco non è stato inserito neanche nei ristori, quindi è come se non esistiamo».

Unica voce leggermente fuori dal coro è stata quella delle pulitintolavanderie, che essendo state ritenute segmento essenziale hanno in parte tenuto botta. «Possiamo ritenerci fortunati, ma in realtà nonostante questo con il crollo dell’indotto ovviamente abbiamo risentito della crisi anche noi – sottolinea Beatrice Stefoni, titolare della lavanderia Jolly di Potenza Picena – mancano entrate perché mancano gli eventi, i ristoranti sono chiusi e le persone si muovono meno. Indirettamente tutto ciò ha danneggiato anche noi, ma avendo avuto la possibilità di stare aperti non abbiamo ricevuto alcun ristoro. Va rivisto tutto questo sistema».

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Questo è un articolo pubblicato il 01-02-2021 alle 19:04 sul giornale del 02 febbraio 2021 - 823 letture

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