Le Marche viste dall\'associazionismo delle Acli

acli| 5' di lettura 22/02/2009 - Passato, presente e futuro di una Regione in mutamento

A margine degli incontri sulla Dottrina Sociale della Chiesa che si sta svolgendo a Recanati abbiamo incontrato il presidente regionale delle Acli, il prof. Marco Moroni, che ha parlato delle trasformazioni sociali ed economiche delle Marche:


\"La grande trasformazione nella nostra regione ha inizio alla fine del secondo conflitto mondiale ed è anche frutto della guerra. Con la guerra finisce la dittatura fascista ed esplode la libertà, pur nelle divisioni politiche che subito emergono dopo la fine dei governi di unità nazionale. La guerra è una ventata di novità, anche dal punto di vista culturale. Finita la guerra, l\'Italia non vive più in modo autarchico, ma si apre ai rapporti con gli altri Paesi europei. Finita la guerra, occorre ricostruire materialmente e moralmente il paese. I problemi enormi dell\'Italia vengono affrontati da una classe dirigente che si è temprata sotto le persecuzioni del fascismo. Venendo alla nostra regione, nel 1951 le Marche hanno una delle percentuali più alte in Italia di addetti all\'agricoltura. Nel 1981 la differenza con l\'Italia non esiste più. Il tasso medio di attività in agricoltura nel 1981 raggiunge quello medio nazionale, collocandosi intorno al 10 per cento, una percentuale impensabile appena due decenni prima. Nel 1951 le Marche sono ancora poco industrializzate; nel 1981 hanno una percentuale più alta rispetto alla media nazionale. E\' finito un mondo. In trent\'anni il volto della regione è cambiato radicalmente. L\'agricoltura che domina nel 1951 non è un\'agricoltura qualsiasi, ma l\'agricoltura mezzadrile. La mezzadria non è soltanto la divisione a metà dei prodotti raccolti (di qui il nome). La mezzadria presuppone: un podere, cioè una unità colturale compatta; una casa colonica, costruita su podere; una famiglia mezzadrile che vive e lavora su quel podere. Oltre che per queste tre colonne portanti, la mezzadria si caratterizza per la diffusione della coltura promiscua (cereali, viti e olivi)e per l\'insediamento sparso. Per questo, nelle Marche (e nelle altre regioni mezzadrili, come Umbria e Toscana) si ha la percentuale più alta in Italia di insediamento in case sparse nelle campagne\".


Quando avviene l\'industrializzazione diffusa?

\"Nel corso degli Cinquanta entra in crisi la struttura mezzadrile, che si dissolve nel giro di poco più di due decenni. Il processo di dissoluzione si accentua con la legge che nel 1964 impone il passaggio dalla mezzadria in affitto, ma era iniziato da almeno un decennio. Già negli anni Cinquanta ha inizio l\'esodo agricolo. Si abbandonano i campi per andare in città: nelle piccole 100 città marchigiane. L\'esodo è imponente nelle aree montane, che si svuotano: soprattutto in direzione di Roma. Ma inizia anche il progressivo abbandono dell\'agricoltura nelle aree della collina interna; si riducono anche gli abitanti dei centri collinari dell\'interno, perché la popolazione scivola verso i centri vecchi e nuovi dei fondovalle e ancora di più verso la costa. I centri costieri crescono in modo selvaggio e senza alcuna programmazione, mentre, con la crescita del turismo balneare, la costa viene saccheggiata e deturpata in modo irreparabile. Quella che si realizza nelle Marche è una industrializzazione diffusa, non concentrata nelle periferie delle città maggiori, ma sparsa sul territorio regionale, e caratterizzata dalla presenza dominante della piccola e piccolissima impresa. Le piccole e piccolissime imprese che nascono riescono a reggere sul mercato e ad affermarsi perché sono organizzate in sistemi produttivi a livello territoriale, cioè, secondo la proposta interpretativa di Giacomo Becattini, in distretti industriali. Il modello marchigiano è quindi quello tipico della Terza Italia, per riprendere l\'espressione di Arnaldo Bagnasco o il modello NEC se invece si preferisce adoperare la formula coniata da Giorgio Fuà\".


Ma anche la struttura demografica è mutata?

\"A tutt\'oggi le Marche restano una piccola regione, con una popolazione ridotta che ormai si attesta intorno al milione e mezzo di abitanti. La grande trasformazione, quindi, non ha determinato un forte aumento del numero complessivo degli abitanti. Ma anche dal punto di vista demografico, negli ultimi 50 anni si sono avuti cambiamenti di grande rilievo. Nella nostra regione fin dal primo Novecento la popolazione è sempre cresciuta lentamente perché dalle Marche si emigra. La vetta di questo fenomeno migratorio si è avuta nel primo quindicennio del Novecento, quando il numero medio di emigranti dalle Marche per ogni mille abitanti è molto più alto della media nazionale. Il grafico lo mostra chiaramente. Ma dalle Marche si emigrava anche nel ventennio precedente e si continua ad emigrare anche nel secondo dopoguerra. Il saldo migratorio (rapporto tra emigrati e immigrati) resta negativo fino al 1971. Solo nel 1972 il saldo migratorio diventa positivo: si emigra molto meno e sono più numerosi coloro che da altre regioni si stabiliscono nelle Marche. Intanto nel 1964 è iniziata la diminuzione del tasso di natalità. Diminuisce cioè il numero dei nati, mentre il tasso di mortalità resta sostanzialmente stabile. Con la costante diminuzione del tasso di natalità, il saldo naturale della popolazione, cioè il saldo tra nati e morti, diventa negativo nel corso degli anni \'80. Poiché però il saldo migratorio nel frattempo è divenuto positivo, sostenuto a partire dagli anni \'90dall\'arrivo degli immigrati extracomunitari, il saldo complessivo della popolazione resta positivo. Insomma, la popolazione marchigiana cresce, ma di poco, perché aumentano gli immigrati. Infine, si allunga la durata media della vita, ma questo significa invecchiamento della popolazione. Con i problemi che questo comporta\".





Questo è un articolo pubblicato il 22-02-2009 alle 16:24 sul giornale del 21 febbraio 2009 - 1034 letture

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